Agli Stati Generali della Sicurezza, tenutisi nello scorso novembre a Milano (fortemente voluti da Assosicurezza), mi è stato affidato un tema impegnativo: quello di fotografare il settore, rappresentandone punti di forza e punti di debolezza. Se tutti conosciamo gli elementi di redditività della nostra industria, ossia la presenza di una domanda che resiste e di una risposta tecnologica caratterizzata da una penetrante capacità di personalizzazione e di integrazione, è invero più difficile enucleare le debolezze del nostro mercato.
Il primo punto di debolezza, di questo sono certo, nasce dall’incapacità tipicamente italica di fare squadra, quindi di fare associazionismo e, quindi di fare lobby. Sono stati fatti innumerevoli tentativi di dialogo di filiera – tutti abortiti al primo o secondo incontro.
La nostra incapacità di elaborare un pensiero “di filiera” ci ha meritato una scarsa visibilità politica a livello di industria e una conseguente disattenzione del decisore rispetto alle nostre richieste – peraltro confuse e distoniche tra i vari attori.
A questo si aggiunge un ridotto dimensionamento del comparto, che non migliora lo stato delle cose. La nostra industria – specchio di quella nazionale – soffre di nanismo imprenditoriale, soprattutto negli anelli terminali della catena del valore (il 95% delle imprese di installazione conta meno di 5 dipendenti, classificandosi come artigianato).
Si registra poi una resistenza culturale anche all’aggregazione finalizzata al business, che riduce ai minimi termini le operazioni di fusione, la nascita di consorzi o di reti di impresa – che invece rafforzerebbero e riqualificherebbero l’offerta del comparto.
Ed eccoci al punto più serio di debolezza: quello culturale. Il settore mostra riluttanza ad abbracciare il nuovo nell’evoluzione tecnologica (dalla migrazione all’IP alla scelta di abbracciare nuovi rami operativi o nuove competenze per generare nuovo business…o anche solo per sopravvivere).
La formazione professionale è spesso vissuta come l’ennesimo balzello succhiatempo e si registra una pericolosa tendenza all’onniscienza professionale – quando invece tutti gli indicatori evidenziano che la specializzazione è la chiave per la redditività e che essere “professionalmente onnivori” raramente paga, in termini di marginalità.
La bella notizia è però che il male peggiore ce lo stiamo facendo da soli, coltivando individualismi e miopia imprenditoriale, autoconvincendoci che “piccolo è bello per definizione” e che possiamo chiuderci nel nostro guscio perché nessuno mai verrà ad espugnarlo.
Non è così, ma per fortuna abbiamo tutti gli strumenti per reagire. Innanzitutto abbiamo il mercato: c’è domanda e c’è un’offerta ad alto contenuto tecnologico. E poi ci sono nuovi operatori che si affacciano e che hanno bisogno del nostro knowhow, se vogliono operare con successo e non fare danni. In questo senso la temuta convergenza con altri settori (TLC, ITC, networking, ma anche broadcast, vigilanza privata, edilizia e automazione) dev’essere vista come un’opportunità, non come uno spauracchio da ostacolare.
Infine, ultimo ma non meno importante, ci sono delle realtà associative come Assosicurezza che lavorano per tirare la volata al comparto: fanno comunicazione, fanno formazione, aiutano le imprese a dimensionarsi, ad internazionalizzarsi, a non temere la transizione, a fare il salto qualitativo, a farsi conoscere dai media, a farsi ascoltare dal decisore. E soprattutto a fare business. Questo è l’obiettivo principale di Assosicurezza, ed è un obiettivo ancor più sfidante in un 2013 dall’andamento incerto.
Ma Assosicurezza c’è e ci sarà anche nel 2013, al fianco delle imprese. Perché, ripeto: il nostro comparto ha i numeri, gli strumenti e le carte in regola per rispondere a qualsiasi scossone. Quindi buon 2013 di cuore.